6 ottobre 2018, 20:12

6 ottobre 2018, 20:12, la terra trema ad Haiti nel dipartimento Nord-Ovest, magnitudo 5.2 sulla scala Richter.

Difficile rimanere indifferenti, i chilometri che ci separano sono circa trecento, il tempo da percorrere in auto è di circa 10 ore. Prima tappa Port-au-Prince, si riparte all’alba in direzione nord. La strada nazionale numero 1 attraversa il dipartimento Artibonite, paesaggi stupendi, lasciato il capoluogo Gonaive, entriamo nel dipartimento toccato dal terremoto. Strada nazionale numero 5, ci vuole già un bel coraggio a chiamarla così, 70 km in cinque ore e una gomma sfasciata. Dalla strada praticamente non si vedono segni del terremoto, capiremo dopo il perché.

Arriviamo a Port-de-Paix in tardo pomeriggio, in tempo per incontrare padre Julmisse, direttore della Caritas locale. Ci informa sulla situazione attuale, 11 ottobre, dieci persone hanno perso la vita, 372 feriti, più di 7’000 case danneggiate e distrutte. Queste cifre molto probabilmente raddoppieranno con il passare dei giorni. La protezione civile coordina i soccorsi con tutti gli attori che si presentano, diverse attività di aiuto sono già in corso. Come possiamo aiutarvi? “Il solo fatto che siete qua per noi è già un aiuto, una testimonianza di vicinanza, sostegno e accompagnamento”.

La zona colpita non è la costa dove si trovano le città, ma l’entroterra sulle alture. Dopo la notte di sonno un po’ vigile, partiamo per la montagna di Saint Louis du Nord accompagnati dagli operatori della protezione civile che si occupano di raccogliere i dati. Due ore di cammino per visitare una quindicina di famiglie con un grande bisogno di raccontare ciò che è successo e di essere ascoltati con interesse ed empatia. Gli operatori però sono di corsa: nome, cognome, numero di telefono, quanti feriti, coordinate gps, foto e… saluti. Tra la colletta delle informazioni riusciamo tuttavia a dialogare ed osservare. “Per fortuna non ero nel letto, ero uscito a fare qualcosa, mi sono salvato per miracolo.” “Le è caduto questo mobile sulla testa, vedi come è schiacciata, non riesce più a parlare.”
Ci accompagna un forte senso di impotenza davanti ai feriti e alle case che ormai sono mucchi di macerie, rimane la speranza che queste informazioni serviranno presto ad organizzare degli aiuti.

Torniamo a Port-de-Paix in assoluto silenzio, ci aspettano per il pranzo anche se la fame non è molta. Nel pomeriggio ci uniamo ad un altro gruppo di operatori, questa volta la zona da sondare è la baraccopoli della città. L’atmosfera è differente, la situazione di vita è già terribile e disumana e i disastri del terremoto non sembrano aver toccato particolarmente l’animo delle persone che ci accolgono con gioia ed abbracci, quasi come se fosse una festa. Stupisce e meraviglia la capacità di resilienza di questa gente.

In serata partecipiamo alla riunione di coordinazione dei soccorsi della protezione civile. Il nostro animo si ricarica di energia e positività, la volontà di agire nei migliori dei modi è alta e sorprende la capacità di organizzazione e analisi dei bisogni. Ripartiamo la mattina successiva in direzione di Port-au-Prince, ci portiamo con noi immagini di disperazione e devastazione ma anche un sentimento di fiducia verso le numerose persone di buona volontà che abbiamo incontrato, pronte a dedicare con il cuore competenze, tempo, risorse e umanità.

 

 

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