Anche se nei media non se sente quasi parlare, attualmente la situazione ad Haiti è molto tesa e instabile. Dall’autunno 2018, quando è stato reso pubblico lo scandalo Petrocaribe che evidenziava come il governo dal 2008 abbia volatilizzato 3.8 miliardi di $ derivati dalla vendita del carburante, fornito a prezzo ridotto dal Venezuela con lo scopo di aiutare lo sviluppo del paese, la tensione nel paese è aumentata costantemente. La scintilla che ha fatto intensificare le proteste da sei settimane a questa parte, è stata poi la carenza di carburante accentuatasi nel mese di agosto ed il conseguente aumento del prezzo.

Da allora, quotidianamente in tutte le cittadine, ma in particolare nella capitale Port-au-Prince, la gente scende in strada per chiedere le dimissioni del presidente Jovenel Moïse che non ha saputo migliorare la situazione del paese, anzi ha condotto ad un peggioramento delle già pessime condizioni di vita, ha vantaggio di una piccola élite.
Non sorprende che la corruzione sia alle stelle, il divario tra i ricchi e i poveri gigantesco, e la gente comune, non avendo più nulla da perdere, manifesti la sua rabbia.


Ad esempio sono state organizzate manifestazioni pacifiche da parte di diversi gruppi di cittadini: gli artisti, gli insegnanti (le scuole sono state costrette a chiudere poco dopo l’inizio dell’anno scolastico), i religiosi (esortati dalla conferenza episcopale haitiana schieratasi dalla parte del popolo), e diverse altre associazioni di categoria.
Per ora il presidente, nei pochi interventi pubblici che ha fatto, rivendica la legittimità della sua carica e l’intenzione di proseguire il suo mandato, nonostante la sfiducia totale da parte del suo popolo.



La conseguenza principale di questa situazione è un blocco quasi totale del paese. Ci si muove a fatica a causa della penuria di benzina, delle barricate erette lungo le strade e a causa della violenza diffusa. In città non arriva il cibo dalle campagne, nelle campagne non arrivano i rifornimenti di prodotti dall’estero, sulle isole non arriva nulla … Il rischio concreto di una crisi alimentare si fa ogni giorno più grande.
Si tratta però solo della punta dell’iceberg, le ragioni che hanno condotto a questa situazione, hanno radici profonde. Dall’indipendenza, il paese è continuato ad essere governato da una classe dirigente senza scrupoli, volta a soddisfare i propri interessi, influenzata e controllata da governi e società occidentali. Le imprese chiave presenti ad Haiti sono state privatizzate e acquistate da società estere. I pochi giornalisti indipendenti che denunciano la situazione, utilizzano termini quali “neocolonialismo”, “neoliberismo” e “neocapitalismo” e mettono in guardia sul fatto che ciò che sta succedendo ad Haiti, potrebbe essere solo il preludio per situazioni simili in più vaste aree del mondo.

Come se ciò non bastasse Haiti è uno dei paesi a maggiormente soggetto ai pericoli dei cambiamenti climatici: uragani, alluvioni e siccità hanno messo in ginocchio il paese, ogni volta che stava tentando di rialzarsi, lasciando pesantissime conseguenze ecologiche e economiche.

È incredibile che nonostante tutto ciò il popolo haitiano continui a lottare con forza e tenacia, gridando a gran voce, per rivendicare semplicemente dei diritti fondamentali: alimentazione, sicurezza, lavoro, istruzione.
Questo è solo una fotografia molto grossolana e parziale della situazione che ci siamo fatti grazie a libri e articoli letti e a persone che si trovano ad Haiti e ci raccontano in diretta cosa stanno vivendo.