Nicola di Feo: i primi passi

Con piacere il pensiero ritorna a casa per scrivere sulla rivista. In verità lo faccio spesso perché tante per­sone si interessano al progetto e vivo quella prossimità che non ha criterio geografico. Farò un’istan­tanea di quello che stiamo vivendo in Haiti, non certo del paese per­ché non sarebbe possibile.

Sia­mo in una terra ferita che scalpita per rialzarsi, ci ha accolto senza domande, con entusiasmo e cu­riosità. La Conferenza Missionaria aveva organizzato ogni cosa, una splendida abitazione in un pae­sino che permette di resistere a quel caldo che presto incendierà l’estate, relazioni di fiducia con la Chiesa locale che ha espresso in molti modi la gratitudine per la no­stra presenza, persone capaci che hanno pensato al Progetto per fa­cilitare il nostro percorso.

Il primo contatto in terra haitiana è stato quindi semplice e imme­diato, la fase successiva sembra invece molto più complessa. Per fisionomia rappresentiamo la ric­chezza, la possibilità di ottenere risorse, gente che ha la facoltà di scegliere in che modo determina­re la sua sorte. Quest’aspetto cor­rompe, pur senza intenzionalità, gli incontri che succedono e compli­cano questo primo periodo di av­vicinamento e ricerca di familiarità. Era plausibile e comprensibile ma snatura la nostra volontà di servi­zio, faremo il possibile per rompe­re questa dinamica. Il mio lavoro in Caritas Ticino è stato una buona palestra, succedeva pressoché lo stesso.

Ho incontrato migliaia di persone nel Programma occupa­zionale molte delle quali arrivavano con pregiudizio e rancore perché non ne comprendevano linea­menti e motivazioni. A migliaia ho stretto la mano e le ho abbraccia­te quando il percorso è terminato, perché tra quel principio e il termi­ne istituzionale, si era condiviso un pezzo di vita. Quel tempo, unico plausibile, nella fatica di costruire opportunità lavorando insieme, stupiva gli sguardi e ne addolciva i lineamenti. Amicizia, lavoro, frater­nità, ascolto, speranza, tutto qua, ed è stato molto.

Ho sulla pelle quell’esperienza e ad essa mi ri­faccio quando qui persiste solo l’i­dea di noi e non interroga cuore e mente delle persone. La missione implica consegnare un tempo del­la vita al servizio, noi ci proviamo seppure ad oggi nell’attesa, ma sempre con entusiasmo.

Prossimi a visitare le cento scuo­la cattoliche della Diocesi, en­treremo in punta di piedi. Siamo pronti all’azione ma è prematura, il progetto destinato a migliorare la qualità dell’educazione lo faranno loro, noi li accompagneremo per un pezzo, continuando a dirgli che è possibile. Come ho detto è ancora un tempo di attesa, come la Quaresima, le tentazioni sono molte e il cammino nel deserto lungo e difficile.

Quando sarà trop­po faticoso avanzare anche di un solo passo, lasceremo il pensiero correre a casa, nelle nostre Co­munità, ricordandoci che lo stia­mo attraversando insieme. Così lo sguardo non lascerà l’orizzonte dove è visibile solamente una Cro­ce e su di essa un uomo, con la fiducia che una volta arrivati non sarà più lì.

 

(Estratto dall’ultimo numero della rivista di Caritas Ticino)

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