Da creato eccezionale a prigione di miserie

Sono sulla porta di Haiti, ma non posso entrare. Chi può cerca di uscire,  qualcuno è obbligato dalle misure di sicurezza perché straniero. Così pare che invece che stringersi intorno a un popolo arrabbiato e stremato, restano ancora più soli. Non so molto di politiche internazionali, ma al di là di qualche notizia sui media nulla sembra accadere. I polmoni sono ossigenati dai fumi delle gomme bruciate e il cielo di Haiti si fa nero fumo. Sulle strade si urla e si spara contro un’ingiustizia che non può essere solo culturale, solo circostanziata a un tempo politico, solo figlia di un’economia liberale che la rende schiava utile, perché  si urla per il diritto alla vita, a quanto è concessa a molti per natura umana, ma non a loro. La giustizia appartiene a un contesto che la legittima e la riconosce, è un prodotto democratico, quando non hai cibo, nessun accesso alla salute, poche lamiere per difenderti dal sole, la democrazia è straniera e prende l’aereo con chi deve partire, smentisce il suo valore assoluto perché chi la esercita ha un interesse particolare, non è più un atto di libertà.

Non sono un sociologo, un politologo, non intendo processare un sistema, sono anonimo in questa terra se non per un branco di gente eccezionale che appartiene alla mia storia, quindi non avrebbe senso, si perderebbe tra i bit del web. Scrivo per me stesso sicuro che chi amo sa che in questo modo scrivo per ognuno di loro.

Haiti è una lacrima di dolore che talvolta da creato incomprensibilmente eccezionale si trasforma in prigione di miserie. Non lo cambieremo, non lo vinceremo perché l’unico Vincitore ha già versato il suo sangue, possiamo però continuare ad amarlo e per amore, vivere come uomini liberi, trasformando i nostri spicchi di mondo in fabbriche di democrazia e speranza.

Nicola di Feo

NdR: Nicola si trova a Santo Domingo in attesa di poter rientrare ad Haiti per continuare il progetto diocesano

 

One thought on “Da creato eccezionale a prigione di miserie

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  1. Sono appena rientrato da una interessante serata sul Nicaragua con relativa presenza di ong nostre (vedi COMUNDO, AMCA). Mi sono reso conto come vi siano due, tante, troppe Nicaragua nel mondo. Anche Haiti è un Nicaragua, senza una dittatura di “satrapi” ma con una dittatura del niente. Avremmo potuto dire ai nostri missionari tornate a casa, ma come Chiesa non possiamo, non dobbiamo lasciare sola la gente con la quale stiamo vivendo un cammino. Anche nei momenti difficili, la missione ci chiede di esserci, senza fare gli eroi. Come sta succedendo per il Nicaragua del dopo aprile 2018, anche per Haiti nessuno ne parla, nessuno scrive. Certo Haiti non ha petrolio, non ha basi militari americane, non è paese per un turismo di classe. Ma i morti haitiani sono persone come le altre, messe a tacere solo perché reclamano per l’acqua che manca, per il riso che costa troppo, per la benzina inavvicinabile. Restare significa anche condividere queste carenze, convinti che anche per Haiti il sole tornerà a brillare. Non domani certo, ma tornerà a brillare!

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