Una giornata all’ospedale di Miragoâne

Se c’è un aspetto della situazione di Haiti che merita una discussione, questo è sicuramente il sistema sanitario. Come medico, da qualche mese senza attività a diretto contatto con gli ammalati e dopo anni intensissimi di clausura in ospedale, stavo cominciando a mostrare i sintomi di una vera e propria crisi di astinenza da “struttura sanitaria”. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione dal Ministero della Salute per svolgere ufficialmente la professione di medico ad Haiti, oggi ho avuto l’occasione di trascorrere un giorno all’ospedale St. Therese di Miragoane.

Durante la nostra visita nel 2018 avevamo già visitato l’ospedale, che in quel momento era letteralmente vuoto, senza personale e senza pazienti, a causa di uno sciopero generale. Quest’anno invece abbiamo trovato un ospedale caotico e affollato. Per esempio, gli uffici dell’amministrazione si trovano in una sola grande stanza con qualche sedia, pochi tavoli e tanti funzionari che parlano e svolgono riunioni. Veniamo a sapere che i proprietari della casa dove risiedevano tutti gli uffici ha deciso di sfrattarli visto che la direzione dell’ospedale non pagava l’affitto da 10 anni.

Dato che il reparto di medicina interna non aveva pazienti in cura, vengo condotta in pronto soccorso dove incontro una giovane dottoressa haitiana molto contenta di ricevere una visita e una mano inaspettata. Il pronto soccorso consiste in una grande sala con una decina di lettini per i pazienti, qualche sedia, intravvedo un defibrillatore e un’armadietto con i medicamenti per le emergenze mezzo vuoto. Una scrivania viene suddivisa tra due infermiere e il medico. Famigliari dei malati si aggirano per la sala assistendo ai colloqui e alle visite mediche degli altri pazienti. In un’angolo dedicato alle medicazioni si trova qualche garza e una bottiglia di acqua ossigenata. Senza successo chiedo un po’ di disinfettante per le mani, così mi viene indicato un bel lavandino, ma prima di tutto il guardiano andrà nel cortile per riempire un secchio con cui potrò infine lavare le mani perchè ovviamente non dispongono di acqua corrente. Assieme alla dottoressa Leo cominciamo il giro visite.

Leo è un giovane medico assistente, che gli studi ed un anno di tirocinio a Cuba è ritornata ad Haiti. Qui è una dipendente dello stato, che per un anno deve prestare servizio in una struttura pubblica prima di poter accedere ad uno dei rari posti di specializzazione. Mi spiega però che, dopo il primo anno di lavoro, il sistema statale obbliga i giovani medici ad avere un’autorizzazione per cui dovranno aspettare da uno a tre anni senza poter lavorare!

Una signora è arrivata nella notte con la pressione alta e febbre. Il medico del turno di notte sospetta un’emorragia cerebrale o un ictus perchè sembra molto debole, non riesce a muoversi e a parlare … fortunatamente riusciamo a rivedere la diagnosi per la contadina che se la cava con una polmonite. Poi c’è un paziente diabetico con uno scompenso, che avrebbe bisogno insulina ad azione rapida, ma … non se ne trova più nell’ospedale e anche nelle farmacie della regione. Per un quadro clinico che sarebbe da trattare in cure intense abbiamo a disposizione pochissimi mezzi e praticamente nessun valore di laboratorio a parte la glicemia – che il paziente deve pagare con l’equivalente di 2 dollari americani ad ogni misurazione. Può prendere un’altro medicamento se la metformina non gli basta? Siamo sicuri che sia un diabetico di tipo 2? Si può misurare l’emoglobina glicata? Cari lettori, anche se uso parole un po’ tecniche sappiate che la risposta è sempre: no. Assieme alle infermiere siamo state orgogliose di curare un giovane paziente inviato da un dispensario della zona per dolore allo stomaco. Da subito ci rendiamo conto che il problema non è una gastrite, perchè il povero ragazzo ha una saturazione di ossigeno a 75%, è tachicardico, sudato e lamenta dolore al torace. Chi è del mestiere sa che per prima cosa bisogna escludere uno pneumotorace. Visto che però ad Haiti ogni prestazione medica è fornita solo dopo che il medico ha scritto una ricetta, il paziente o il suo accompagnatore ha pagato l’analisi in laboratorio o acquistato il medicamento alla farmacia ed è poi tornato indietro, capite che il concetto di “emergenza” diventa molto relativo. Sapendo che nell’ospedale è a disposizione un ecografo, che però non viene più usato perchè il tecnico responsabile non lavora più nella struttura, sono contenta di mostrare alla giovane dottoressa come con un esame rapido e indolore abbiamo potuto escludere uno pneumotorace e diagnosticare una grave polmonite bilaterale. Non è stato altrettanto facile procurare dell’ossigeno per il paziente, perchè anche quello è a pagamento! Per somministrare l’antibiotico poi un parente è dovuto andare in una farmacia lontana per comprare una siringa, che invece all’ospedale avevano finito …

Attraverso i casi che si presentano si possono scoprire situazioni per noi d’altri tempi, che invece qui avvengono quotidianamente. Arriva un ragazzino con il polso dolorante e le lacrime agli occhi accompaganato dalla mamma. Cosa ti è successo? Gli chiediamo. A bassa voce la mamma ci spiega, che il figlio è stato sgridato e colpito con un bastone dal maestro. Sospettiamo una frattura al polso, la madre aspetta per ore i soldi necessari per la radiografia e quando li trova purtroppo il tecnico di radiologia è già andato … dovranno tornare il giorno seguente, per il mestro invece non ci saranno conseguenze.

Ci sarebbero tanti altri aneddoti sui malati incontrati, storie di vita vera, dura, vissuta ogni giorno in modalità sopravvivenza. Penso a tanti pazienti incontrati durante gli anni di lavoro in Svizzera, che con tanta forza e dignità hanno portato la croce della loro malattia e hanno mostrato grande riconoscenza. Mi vengono in mente però anche altri, che nonostante tutte le possibili cure a disposizione, tanto tempo dedicato e tutti gli specialisti a loro disposizione non siamo mai riusciti ad accontentare.

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