Continuando con la serie di testimonianze, vi proponiamo due interviste, franche e realiste, rilasciate negli scorsi giorni da Monsignor Pierre-André Dumas, vescovo della diocesi di Anse-à-Veau e Miragoâne, che racconta della realtà del paese travolto in queste settimane da una gravissima crisi.
Di seguito il testo dell’intervista rilasciata all’agenzia S.I.R. (Servizio Informazione Religiosa) il 13 ottobre 2022.
Haiti. Il vescovo Dumas: “Paese paralizzato, a rischio la sopravvivenza del popolo. Necessario aiuto internazionale”
Patrizia Caiffa, agenzia SIR, 13 ottobre 2022
Ad Haiti manca il carburante e il cibo, i prezzi sono raddoppiati, le gang tengono in scacco interi quartieri con la violenza. I malati muoiono per mancanza di cure, ospedali, scuole e banche sono chiuse ed è tornato il colera. Serve “un aiuto internazionale che non impedisca l’aspirazione del popolo ad essere libero e sovrano. Che non sia una occupazione, ma aiuti Haiti a risolvere i problemi storici, sociali e i blocchi attuali”. Lo dice al Sir monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau et Miragoâne, parlando della situazione e della richiesta del governo di dispiegare forze militari straniere ad Haiti. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si è detto infatti favorevole all’invio di un contingente internazionale Onu.

Ad Haiti è messa in discussione “la sopravvivenza stessa del popolo”. A parlare in toni concitati al Sir è monsignor Pierre-André Dumas, vescovo di Anse-à-Veau et Miragoâne, fortemente preoccupato per il deteriorarsi della crisi e dell’insicurezza che affligge il Paese caraibico e che lo sta letteralmente paralizzando. Dopo i vari terremoti, l’uccisione nel luglio 2021 del presidente Jovenel Moise da parte di un commando di sicari colombiani, le gang che tengono sotto scacco interi quartieri della capitale Port-au-Prince con la violenza e i rapimenti, ora è sempre più grave la mancanza e l’aumento dei prezzi del carburante e del cibo, tanto da paralizzare un intero Paese. In più è tornato di nuovo il colera, a causa dei cumuli di immondizia usati come blocchi stradali durante le manifestazioni. Nei giorni scorsi è stato ucciso un uomo nel corso delle proteste antigovernative e 16 detenuti sono morti di colera nel carcere di Port-au-Prince, che ospita 3.000 persone, in difficoltà per l’approvvigionamento di acqua e cibo. I manifestanti scendono in piazza contro l’aumento dei prezzi ma anche contro la richiesta del governo di Haiti di dispiegare forze militari straniere ad Haiti. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si è detto infatti favorevole all’invio di un contingente internazionale.
“Stiamo vivendo una crisi molto forte nel Paese – afferma monsignor Dumas, che è stato a lungo presidente di Caritas Haiti -. Da qualche tempo non abbiamo le autorità democratiche previste dalla Costituzione, il Parlamento non c’è, l’apparato giudiziario non funziona. Il governo centrale ha deciso di far salire il prezzo della benzina in seguito alla crisi mondiale e questo ha avuto un impatto tremendo sul popolo e sui poveri, che soffrono di più”. Il prezzo del gasolio, ad esempio, prima di 250 gourdes ora è raddoppiato. “Questo ha creato una situazione veramente dura per la popolazione povera. C’è inoltre una crescita galoppante del costo dei viveri, la gente non può permettersi di comprare niente”.
La crisi del carburante, la crisi alimentare, l’insicurezza sociale, i rapimenti (anche di preti e suore) “hanno assunto una proporzione incredibile, portando la gente alla disperazione – sottolinea monsignor Dumas -. Molte persone hanno perso la speranza e si sono lasciati trascinare nei gruppi armati. Ci sono politici che manipolano questa situazione e imprenditori che pagano le gang e agiscono in maniera mafiosa. Questo ha creato una situazione invivibile ad Haiti”.
Nemmeno le scuole possono aprire, le infrastrutture statali sono bloccate, le banche aprono solo due o tre volte a settimana. Nella sua diocesi di Anse-à-Veau et Miragoâne, ad ovest di Port-au-Prince, ci sono stati problemi perfino a reperire il cibo, che non arriva a destinazione. Lo stesso vescovo, in partenza per un incontro a New York, ha avuto problemi a trovare una automobile per andare in aeroporto, perché non si trova il carburante: “In questo momento tutto è bloccato, ci sono poche automobili in giro, viaggiare e muoversi è difficile”.
“C’è bisogno di un aiuto internazionale per sostenere il popolo”. Monsignor Dumas è consapevole che politici e popolazione sono divisi sull’idea della presenza di una forza militare internazionale dell’Onu nel Paese e non riescono a trovare una soluzione negoziata e di consenso. Già in passato, altre due volte, ci sono state missioni di peacekeeping. L’ultima, la Minustah è stata ritirata nel 2018, ed è stata spesso oggetto di controversie. “Se gli haitiani non si mettono d’accordo per risolvere il problema allora c’è bisogno di un aiuto internazionale concreto per sostenere il popolo – afferma -, anche per trovare soluzioni ai camion di gas bloccati dalle gang e all’aumento dei prezzi. Per arrivare ad una situazione di equilibrio sociale, ad una stabilità politica, per la sopravvivenza stessa del popolo”.

“I poveri non possono più aspettare”. “Non sappiamo se la forza internazionale metterà il popolo nelle condizioni di riunirsi, di avere una grande conferenza nazionale e un dialogo sincero e inclusivo – continua -. Ma in questo momento bisogna fare qualcosa per salvare soprattutto i poveri, che non possono più aspettare”. “Siamo aperti a molte soluzioni ma dobbiamo trovare quella che aiuti il popolo a sopravvivere e a conservare la sua dignità. Haiti ha fatto una buona parte di storia dei diritti umani, perché è stata la prima Repubblica nera del mondo e la prima Repubblica che ha detto tutti gli uomini sono uguali e la schiavitù non deve più esistere”.
“Un aiuto per ricostruire il tessuto sociale, non un’occupazione”. “I vescovi non sono pro o contro l’intervento Onu però vogliamo un aiuto concreto che non diventi dipendenza”, precisa:
“Un aiuto internazionale che non impedisca l’aspirazione del popolo ad essere libero e sovrano. Che non sia una occupazione, ma aiuti Haiti a risolvere i problemi storici, sociali e i blocchi attuali”.
Oltre alla presenza dei militari per riportare sicurezza nel territorio, aggiunge monsignor Dumas, “servirebbe un Piano Marshall per aiutare la popolazione, per ricostruire il tessuto sociale, per portare Haiti verso la via dello sviluppo umano integrale. Perché il popolo ricominci a sperare e viva l’esperienza della sua resurrezione storica”.
“Ritrovare il senso del vivere comune”. “Bisogna pregare molto per noi perché torni il buon senso e la dignità umana del vivere sociale – conclude il vescovo -. Perché di fronte alla crisi, alla violenza, allo scoraggiamento la gente è capace di tutto e adesso non c’è un limite. Oltre all’aiuto per riportare l’ordine sociale abbiamo bisogno anche di aiuto spirituale e psicologico, per dare all’uomo il senso del vivere comune”.

La seconda intervista rilasciata a Vatican News, in francese, può anche essere ascoltata qui.
Mgr Dumas: le peuple haïtien ne doit pas mourir
di Xavier Sartre, Vatican News, 25 ottobre 2022
Haïti ne semble pas voir la fin du tunnel. La crise multiple que traverse le pays ne fait que s’amplifier sous la presse de l’insécurité générale alimentée par les gangs. L’Église catholique, jusqu’alors très respectée, n’échappe pas aux violences. Mais l’espoir n’est pas éteint selon Mgr Pierre Dumas, évêque d’Anse-à-Veau et Miragôane.
«Terrible, catastrophique»: les adjectifs utilisés par Mgr Pierre-André Dumas, l’évêque d’Anse-à-Veau et Miragôane, ne laissent aucun doute sur la gravité de la situation en Haïti. Le secrétaire général de l’ONU a lui évoqué un cauchemar devant le Conseil de sécurité qui devait évoquer la proposition d’envoyer une force armée internationale dans l’île, sans que cette perspective ne suscite un quelconque enthousiasme. Les gangs font régner la terreur, contrôlent des pans entiers du territoire, entravent la circulation des biens et des personnes, bloquent des ressources, notamment la nourriture et les carburants, accentuant la crise humanitaire générale qui accable le pays. Ce sont eux que le Conseil de sécurité vise dans une résolution adoptée le 21 octobre dans une tentative de résolution de la crise.
Face à cela, la police semble incapable de rétablir l’ordre, d’où cet appel désespéré d’un gouvernement lui-même en manque de légitimité et d’autorité. «Il y a beaucoup d’anarchie, de chaos, de violence» confirme Mgr Dumas qui ne peut que constater le désespoir de la population, contrainte de trouver de quoi se nourrir, parfois en pillant certains dépôts.
«Nous avons vraiment besoin d’être accompagnés, d’une certaine assistance, non pas d’une occupation mais d’une aide internationale pour au moins sortir de cette situation de blocage total de la population qui est presque prise en otage», estime l’évêque qui n’hésite pas à dire que «le peuple haïtien est menacé de disparition». Il plaide pour un «plan Marshall» qui n’impose pas un modèle de l’extérieur mais qui promeuve des solutions venant des Haïtiens eux-mêmes dans la perspective d’un développement humain intégral.

L’Église, institution respectée par l’ensemble de la société, n’échappe pas aux violences. Certains de ses entrepôts ou de ses structures sanitaires ou éducatives ont été prises pour cible soit par les gangs soit par des manifestants en colère. Ce qui ne l’empêche pas de poursuivre sa mission : «l’Église accompagne, est présente, est solidaire de la souffrance des gens ; elle ne peut pas faire grand-chose», concède Mgr Dumas.
Mais l’évêque refuse de se résigner et veut voir dans la mobilisation des jeunes un signe d’espérance. «Ils se sentent acteurs, protagonistes, ne veulent plus être des automates qui subissent tout, qui se plaignent», affirme-t-il. Ces jeunes veulent en finir avec «un système politique corrompu, mafieux». Et de formuler ce vœu d’un système de développement qui ne détruise pas l’être humain. «Même si nous sommes au cœur de la nuit, la lampe n’est pas encore éteinte», croit Mgr Dumas qui poursuit : «Nous faisons notre le cri et la souffrance du peuple : ne rien faire c’est laisser sortir Haïti de l’histoire et entrer ainsi sur le chemin de la disparition».
Rispondi