di Mauro Clerici, presidente Conferenza Missionaria della Svizzera italiana
Noi siamo arrivati a Port au Prince in luglio del 2010, 6 mesi dopo il terribile terremoto del 12 gennaio. Siamo arrivati in autobus via Santo Domingo. Man mano che avanzavamo verso la capitale, vedevamo i segni della catastrofe (strade distrutte, palazzi e case implosi, mercati sulle strade, affollamento di gente per le strade, macerie sparse ovunque). Si vedevano però già alcuni segni di ripresa: piccoli cantieri, lavoratori sui marciapiedi, vendite di cemento e lamiere. Lo spettacolo era ancora più desolante perché il tempo era piovoso e il caldo pesante, umido. Eravamo una ventina di ticinesi all’inizio del campo estivo, in campagna, nel Nippes che poi sarebbe stato terreno per la missione diocesana. Ci aspettavamo una capitale desolante, ma quello che vedevamo era peggiore di quello che ci aspettavamo. E inesorabilmente tutti si sono lanciati in scatti fotografici. Sapevamo che sotto quelle macerie vi erano ancora centinaia di morti non recuperati. La città era un formicolio di veicoli, praticamente tutti delle ong e dell’onu che assicuravano assistenza e ricostruzione. Appena fuori capitale più nessuno. O meglio, quasi solo noi. L’abbiamo capito dopo: per le ong restare in capitale significava visibilità nei media e quindi consenso da parte dei sostenitori.
Il terremoto è avvenuto la sera del 12 gennaio, alle 9.53 (ora europea). Venti secondi di scosse di magnitudo 7.0 che hanno lasciato 220 mila morti, 300 mila feriti (la maggior parte resi inabili per la vita), 3 milioni coinvolti. Case e palazzi scomparsi e una moltitudine di tende blu che ospitavano i senza tetto. Cattedrale distrutta (arcivescovo morto sotto le macerie), palazzo del parlamento imploso. Si muovono le grandi organizzazioni internazionali e arrivano gli aiuti appena l’aeroporto rientra in attività. Se l’emergenza è affrontata con discreta rapidità, la ricostruzione avviene molto lentamente e ancora oggi non è terminata. Le ong non hanno fiducia nel governo, nella democrazia molto fragile. Nessuna si assume il compito di coordinare gli interventi. La cooperazione svizzera è molto attiva nella ricostruzione, i padri scalabriniani con padre Giuseppe costruiscono ex novo interi quartieri da assegnare a centinaia di famiglie che hanno perso tutto. Non tutte le offerte raccolte nel mondo al momento dell’emergenza sono state impiegate proprio perché il paese vive continue fasi di incertezze di difficoltà. Benché le conseguenze del terremoto ad Haiti siano state peggiori dello tsunami asiatico di qualche anno dopo, di Haiti ci si è dimenticati subito. È tornato alla ribalta nel 2016 perché colpito di nuovo da un uragano devastante ma poi di nuovo silenzio. E quasi nessuno si è accorto dei mesi violenti vissuti tra ottobre e dicembre 2019. Certo Haiti non è paese turistico e nemmeno ha giacimenti di petrolio o di minerali preziosi!
Queste sere, pensiamo per un attimo a questo paese sfortunato che è anche un po’ ticinese, un po’ nostro!
Rispondi