In carcere con le suore

Il 25 febbraio siamo stati invitati dalle suore della carità di Miragoâne alla celebrazione per la commemorazione della morte del loro fondatore, il cardinal Sancha.

La messa si svolgeva nel corridoio della loro casa, sopra le aule della scuola che gestiscono, frequentata da circa 1000 allieve. Appena siamo arrivati ci ha accolto suor Marzia dicendoci «è una benedizione la presenza di tutti questi poveri!» In effetti i presenti sono perlopiù poveri, anziani e handicappati provenienti dal vicino quartiere di Village Miséricorde, che le suore accompagnano.

Nonostante l’entrata difficile della casa, una ripidissima scalinata, in poco tempo la sala si è riempita di persone con difficoltà motorie. Un ragazzo con una sola gamba mi saluta con un grande abbraccio.

Dopo aver partecipato a varie celebrazioni «in grande» , siamo contenti di vivere questo momento di Chiesa autentica, haitiana, modesta, vera e vicina ai più bisognosi.

Il prete, inizialmente molto timido, si scioglie man mano che procede con la predica, che riesce a rendere vicina alla gente facendo esempi semplici, ma concreti legati alla realtà quotidiana. I canti sono in creolo e anche se non intonati da una corale, si percepisce che vengono dal cuore dei presenti. Si termina con l’inno della congregazione cantato in spagnolo dalle suore che infondono nei presenti tanta gioia e simpatia.

Segue un pranzo che le suore offrono a tutti i bisognosi presenti, come fanno quotidianamente. Inoltre, nel giorno della loro festa, hanno previsto di visitare i prigionieri del carcere di Miragoâne, servizio che svolgono ogni settimana. Noi conosciamo già la struttura carceraria che ci aveva impressionati nel corso della nostra prima visitata nel 2018.

Ci offriamo subito per accompagnarle ed aiutarle a portare cibo e qualche bene di prima necessità ai prigionieri. Loro sono felici per l’inaspettato aiuto, noi per avere l’occasione di tornare a visitare la prigione di Miragoâne.

Assieme ad alcuni poveri giovani ospitati dalle suore, carichiamo la jeep fino al limite e poi partiamo come per una gita scolastica, solo che andiamo in una specie di inferno. Grazie alla presenza delle suore, possiamo entrare con facilità nella struttura carceraria che sembra in realtà un rudere dopo un bombardamento. A dimostrazione di ciò sulla facciata si legge la scritta «à demolir, la mairie».

All’entrata c’è un pozzo coperto da una tettoia, il quale però è pieno di spazzatura. Le guardie controllano i sacchetti che abbiamo portato, ma per il resto non sono particolarmente pignole e mi lasciano addirittura scattare delle foto.

Finalmente dentro iniziamo a passare le razioni di cibo nelle varie celle e subito colpisce la mancanza di spazio e di luce in cui si trovano i prigionieri. In 5 celle di circa 10 metri quadrati si trovano 63 prigionieri. A differenza di Anse-à-Veau, c’è un senso di abbandono totale e le celle sono quasi completamente chiuse con solo una piccola fessura per passare i piatti.

Parlo con alcuni prigionieri che si affacciano e chiedono in inglese di dargli dei soldi. Gli spiego in creolo che siamo missionari cattolici e portiamo «solo» un pasto, una bibita, carta igienica, sapone e dentifricio. Capiscono, ringraziano, ci dicono che le condizioni di vita sono molto dure. Uno mi saluta e mi dice che mi ha già visto nell’altro carcere e che è stato trasferito qui da poco… di male in peggio, penso.

Mery mi chiama perché c’e un carcerato che non mangia, ma sta in un angolo e piange. «Cosa c’è?» gli chiediamo «non ho fatto niente, sono innocente, non so perché mi hanno imprigionato!». È veramente disperato e stringe il cuore vederlo così. Non sarebbe strano se veramente fosse innocente, e neppure che sia disperato, pensando al fatto che potrebbe dover restare rinchiuso per anni prima di venir processato. Ci facciamo dare il suo nome con la promessa che parleremo del suo caso alla delegata di Justice et Paix.

Ad una donna poliziotta chiediamo come mai le condizioni siano così miserabili, in particolare per la mancanza di igiene, ma lei risponde che chi si occupa della pulizia non viene più a lavorare da una settimana, per cui la sporcizia, compresi i bisogni dei prigionieri, si accumulano nella stretta corte interna. Provocatoriamente diciamo se non potrebbe occuparsi della pulizia qualcuno dei tanti poliziotti che «sorvegliano», ma ovviamente la risposta è negativa.

All’uscita, ci proponiamo di tornare regolarmente con queste brave suore a portare un raggio di luce in uno dei posti più oscuri che abbiamo visitato finora.

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